Una storia di mare e d'amore
Un viaggio reale e simbolico sull'onda della poesia e
della musica
Nato dalla penna del più
illustre dei poeti vittoriani, Enoch Arden fu pubblicato come poema in
versi nell’agosto 1864 riscuotendo un successo da vero best seller (17.000
copie nel giorno di pubblicazione; 60.000 in soli quattro mesi). R. Strauss
riprese il poema alla fine del secolo nella traduzione tedesca di A.
Strodtmann per farne un suggestivo melologo per pianoforte (il melologo,
Melodrama in tedesco, è una recitazione accompagnata da musica). La prima
rappresentazione avvenne nel Mathildensaal
di Monaco il 24 marzo 1897, al piano lo stesso Strauss, con l‘amico Ernst von
Possart, famoso attore e dedicatario dell’opera, nel ruolo di narratore. Il
successo trionfale rinfocolò l’interesse (peraltro mai sopito) per Enoch
Arden, e fece sì che per altri quarant’anni lo stesso soggetto venisse
riproposto da vari compositori e librettisti in molti teatri europei. (Nella
sola Germania fra il 1864 e il 1914 se ne pubblicarono dodici diverse
traduzioni).
Racconto commovente e dolcissimo, Enoch Arden narra
la storia di tre fanciulli di un piccolo porto della costa meridionale
dell'Inghilterra. Enoch (figlio orfano di un marinaio), Philip (il figlio del
mugnaio) ed Annie (la ragazzina più graziosa del villaggio) giocano sulla
spiaggia tra i relitti del mare. Divenuti adolescenti i due ragazzi
s’innamorano di Annie. Ella a Philip preferisce Enoch - divenuto a sua volta
marinaio - e lo sposa. Un giorno però Enoch s’imbarca per un lungo viaggio...
Ne nasce una storia semplice ma tormentosa, con uno schietto sapore di
leggenda, “storia di mare e d’amore, viaggio reale e simbolico sull’onda della
poesia e della musica” (A. Boccalari). Nel racconto del più grande word
painter della letteratura inglese, le immagini si affacciano morbidamente
dalla trama, avvolgendo l’ascoltatore con un ritmo che ha la naturalezza di
una sapiente sceneggiatura. Dietro vesti di grande semplicità, un’ermetica
intelaiatura simbolica regge l’intero poema facendone una sorta di itinerario
iniziatico, ricco di tensione sapienziale. Sullo sfondo il mare, col suo cupo
muggito, fa da cornice alle vicende dei protagonisti e incarna la natura
profonda, ineluttabile, del destino.
Il commento musicale di R. Strauss, “ricco d’intelligenza
drammatica e persino cinematografica ante litteram” (Q. Principe), venato di
suggestive inquietudini armoniche, fa di questo “melodramma da camera”
un’opera di fortissimo impatto emotivo oltre che un’espressione perfetta del
romanticismo europeo fin de siècle.
Nota alla traduzione di Enoch Arden
La traduzione che proponiamo (la prima versione italiana
integrale e autorizzata del melologo) è stata appositamente realizzata per
rappresentare in italiano Tennyson’s Enoch Arden, ein Melodrama für
Pianoforte zweihändig di Richard Strauss, op. 38 (1897). L’opera di
Strauss si basa su una traduzione tedesca di A. Strodtmann (del 1886), che a
sua volta riproduce il testo di Tennyson, risalente al 1864 (per coincidenza,
lo stesso anno di nascita di Strauss). Si è tenuto conto quindi anche di
questa traduzione per quanto riguarda i brani in cui il recitato è
accompagnato dal pianoforte, essendo questo il testo che Strauss ha
conosciuto.
Si tratta di una versione in prosa poetica nella quale ho
tralasciato di riprodurre il metro usato da Tennyson (il blank verse,
un metro simile al nostro endecasillabo), nonostante abbia cercato di
mantenere, nei limiti del possibile, l'articolazione originale dei versi,
utile per una lettura con testo a fronte. Mi sono proposto la massima
efficacia compatibile con la fedeltà e giacché si tratta di una versione
destinata all'audizione pubblica ho dovuto, ma sempre con una certa
riluttanza, modificare qualche espressione, limitando qui e là
l'aggettivazione, mentre in altri casi ho inserito qualcosa in più, per
esplicitare le immagini in una prosa scorrevole (una versione poetica
destinata alla sola lettura può permettersi di essere più sintetica, agendo su
livelli di riconoscimento semantico meno immediati).
Nonostante questo ho cercato, per quanto era in mio potere,
di restituire tutto: le immagini innanzi tutto (Tennyson è stato definito il
più grande word painter della letteratura inglese proprio per
l'innovativa straordinaria capacità di offrire al lettore inquadrature e
sequenze simili a quelle di una telecamera), poi il ritmo, le metafore, tutte
le perifrasi e addirittura le ripetizioni retoriche (perché quando ci sono
hanno un senso); soprattutto ho cercato di restituire tutti quegli elementi
impliciti che stanno aldilà della lettera ma vi traspaiono, situandosi a
maggior profondità, come lo stile inglese dell'epoca (a volte un po' affettato
ma straordinariamente comunicativo), la caratterizzazione dei personaggi nei
dialogati, l'umorismo che in Tennyson, come in Dickens, fa capolino anche
nelle situazioni apparentemente più disperate, ed infine last but not least,
il prodigioso, lussureggiante simbolismo che attraversa tutta l'opera.
Questo ingente e tuttavia ben dissimulato simbolismo di
Enoch Arden è il carattere più sorprendente che io abbia scoperto in
questa bell'opera.
A parte un paio di casi espliciti che non possono sfuggire
all'attenzione dell'ascoltatore (il leone ai portali e il "pavone-albero di
tasso" del Castello solitario, che sembrano intrusioni oniriche un po' fuori
campo, probabilmente veri e propri segnali attraverso i quali Tennyson vuole
allertarci a coglierne altri) si tratta di una compattissima intelaiatura
simbolica tutt'altro che evidente di primo acchito, ma inoppugnabilmente
intenzionale.
Io stesso ho tardato ad accorgermene. Giunto alla fine del
lavoro mi resi conto che c'erano numerosissimi riferimenti interni a partire
dal nome del protagonista, quell'Enoch di biblica memoria che visse 365
anni, settimo patriarca dopo Adamo, al quale si legava innanzi tutto l'intera
struttura cronologica del poema (la scansione di sette in sette anni dei cicli
di vita del protagonista esemplata sui sei giorni della creazione), e di
conseguenza un insieme cospicuo di dati, immagini, eventi, locuzioni, ecc.:
tutti mezzi letterari, simboli appunto, che concentravano i significati
intorno a particolari vettori, aprendo nuovi, più profondi livelli di lettura.
Mi ricordai la dichiarazione, da poco letta, di Verlaine,
il quale accintosi a tradurre In Memoriam (capolavoro poetico di
Tennyson, indubbiamente più complesso di Enoch Arden, ma anche precedente) ne
fu dissuaso dall'erudita squisitezza, parendogli che il nostro coltissimo
autore fosse poeta “troppo nobile, troppo inglese, che, quando avrebbe dovuto
essere accorato, nascondeva troppe reminiscenze”.
Tutto ciò mi obbligò ad una nuova accurata indagine sul
testo onde evitare che altri luoghi simbolici mi passassero inosservati.
Questo lavoro mi consentì di accedere timidamente a quell'architettura di
idee, concezioni, filosofemi legati al pensiero dell'autore e di intravedere
aspetti della sua complessa Weltanschauung. (Tennyson era uomo aperto a
molteplici interessi naturalistici, scientifici, filosofici, ma anche
religiosi, con istanze spesso divergenti che egli cercò in qualche modo di
rielaborare e comporre; tra l'altro meditò tematiche evoluzionistiche - con
particolare attenzione all'ipotesi di un'eventuale estinzione o trascendimento
della specie umana - una quindicina d'anni prima che Darwin sollevasse la
grande bagarre teologico-scientifica sulle origini e il destino
dell'uomo con L'origine della specie nel 1859).
Non è questa la sede per presentare un'approfondita esegesi
del testo.
Posso solo alludere ad un paio di risultati concettuali che
mi sembrano avvicinare Tennyson a Strauss e in particolare ai suoi interessi
legati a Nietzsche (Il Così parlò Zarathustra di Strauss - poema
sinfonico - esce nel 1896, l'anno prima di Enoch Arden, frutto di
un'intensissima meditazione sull'omonimo testo di Nietzsche).
A Tennyson interessa la dialettica tra la natura e
la storia, tra il paesaggio che permane immutato con il suo tempo
ciclico (fatto di corsi e ricorsi, di flussi e riflussi come le onde del
mare: cfr. il preludio marino in apertura dell'opera ma anche a sua
conclusione, essendo la storia intera nient'altro che una specie di
flashback; cfr. l'eterno ritorno di Nietzsche) e, dall'altra
parte, il variopinto cangiare della storia degli uomini destinati alla
scomparsa. Enoch si situa al crocevia di questa dialettica, e la sua storia
costituisce una specie di odissea iniziatica ritmata sui punti di frizione tra
questi opposti che nel racconto diventano spesso la terra e il mare;
il punto di frizione più tipico sarà naturalmente la scogliera, dove la
terra tocca il mare e se ne difende. Ma la terra, anche, si apre al
mare, attraverso l'insenatura. L'umanità di Enoch raggiunge la
perfezione, la sua completezza, proprio accettando il rischio, aprendosi,
attraverso l'insenatura, al richiamo, alle sfide lanciate dal mare (cfr. il
superomismo nietzschiano - meglio sarebbe dire l'Oltreuomo, Übermensch
-: "ciò che è grande nell'uomo è che egli è un ponte […] quel che si può amare
nell'uomo è che egli è transizione e tramonto"). Per questo Enoch, come il
sole e lo Zarathustra di Nietzsche nella Prefazione di Zarathustra, non
teme "l'alba del proprio tramonto" e lascia infine,
come gli antichi Danesi, un segno di fecondità che non tramonta, "dando
vita a un suolo che ha senso", perché coglie ed incarna l'ardua verità per cui
"il tempo che distrugge è il tempo che conserva" (T. S. Eliot in Quattro
quartetti). In lui l'effimero si eternizza, diventando l'indistruttibile,
la natura scalza la storia ma anche la recupera in qualcosa di più grande.
Enoch, l'archetipo dell'Uomo, merita quindi di inglobare in sé natura e storia
attraverso la circolarità onnicomprensiva della sua azione e della sua
esperienza. Il suo destino diventa allusione (figura) di un destino
escatologico che riguarda l'intera umanità. (Per questo il suo nome
sottintende la perfezione numerologica del 365, come per l'Enoch biblico - già
figura di Cristo - e le sue vicende alludono ai sei giorni della creazione che
si compiono, trascendendosi, nel settimo. L'intuizione, da parte di Strauss,
di inserire il tema di Enoch all'interno del preludio marino, si
rivela, come sempre, straordinaria capacità di pensare e cogliere in
musica nessi profondi).
Mi rendo conto che queste note un po' confuse, troppo brevi
ed astratte, così senza un'adeguata documentazione possono sembrare frutto di
un discreto azzardo interpretativo.
Confido nella benevolenza del lettore, sperando solo di
essere riuscito a dare un'idea delle interessanti e profonde corrispondenze
rintracciabili in quest'opera.
Pietro De Luigi
Lodi, 1 Dicembre 2001
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