Busoni

Pietro De Luigi on web

 

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La tecnica di Busoni

"Si potrebbe dire: nella vecchiaia è la verità, perchè di tutta quanta la persona non si è conservato che il nocciolo, e non vi è rimasta abbastanza forza per coprirlo... "

Ferruccio Benvenuto Busoni alla moglie (Vienna, 14 marzo 1909)

 

 

Apriamo uno squarcio sulla personalità, sul pensiero e sulla vita concreta di Busoni. In medias res, attraverso i seguenti appunti inclusi in una lettera alla moglie. Le sue idee sono sempre originali, non convenzionali, spesso profonde e comunque degne d'attenzione.

In conclusione una testimonianza di J. Wassermann sull'esigenza, da parte di Busoni, di completarsi nell'arte e nella vita come uomo in totalità. "Ars requirit totum hominem", dicevano gli antichi. Aggiungiamo complementarmente: "Homo per seipsum requirit omnias artes".

 

Da Lettere alla moglie, a cura di Friedrich Schnapp, traduzione e prefazione di Luigi Dallapiccola (Ricordi)

Tratto da: http://www.rodoni.ch/busoni/bibliotechina/letteregerdaEN/gerdaITA1.html

 

Los Angeles, 15 marzo 1911

L’ AVVENIRE E' DELLA MELODIA


Si può dire - e mi contraddica pure chi vuole - che Wagner fu il primo a riconoscere non soltanto teoricamente la melodia quale legge suprema. Nei periodi precedenti la melodia veniva trascurata, e in genere l’arte musicale di quei periodi ne soffre. Inconsciamente sentiamo nei lavori classici un altro livello, e ci serviamo di misure più modeste per giudicare. La melodia di largo respiro dei sinfonisti moderni manca alla musica del periodo prewagneriano. Domina assoluta la frase di otto battute che, per la nostra atmosfera, è di breve respiro e anche la qualità che compenetra queste otto battute è più primitiva.
In Beethoven ciò è più chiaro che altrove nel secondo periodo che è il più debole e i cui frutti principali sono la “Quinta Sinfonia”, la “Waldstein-Sonate“, l’”Appassionata“ e i tre “Quartetti op. 59“. Vorrei dire anche - e mi si contraddica pure di nuovo - che nel primo periodo della produzione beethoveniana, il sentimento è tanto profondo che arriva alla piena espressione nonostante l’insufficienza dei mezzi tecnici, che, nel terzo, il sentimento è più forte anche dell’acquistata maestria. Nel secondo invece il sentimento passa in seconda linea di fronte alla ricchezza dello sviluppo e allo splendore sinfonico.
Beethoven nel secondo periodo sfrutta le potenti ispirazioni del primo. L’eroica e appassionata protervia della “Patetica“ restò la base di tutte le opere di stato d’animo simile (solo di proporzioni maggiori) del periodo seguente; prima di tutte la “Quinta Sinfonia“. Ma nell’estensione maggiore l’elemento melodico non segue di pari passo e si perde in certi - come potrei dire? - altipiani di oratoria basata sulle modulazioni e sulle figurazioni. Penso, per esempio, allo sviluppo del primo tempo della ”Appassionata”, dove i grandi slanci e le soste del temperamento sostituiscono il contenuto. Qui agiscono più l’eloquio commovente dell’oratore e la sua penetrante forza di persuasione che non il suo tema o la sua ricchezza di idee. E perciò agiscono su più grandi masse di pubblico e con travolgente immediatezza. Ma il temperamento non maschera solo il contenuto, maschera anche il sentimento, sebbene sembri il contrario. Al sentimento più profondo bastano pochissime parole e pochissimi gesti.
È un luogo comune della storia, che ritorna a intervalli come le immagini di una eterna rappresentazione cinematografica, il rimprovero di mancanza di melodia fatto a ogni nuova apparizione musicale. Ho letto questo rimprovero espresso in occasione della prima rappresentazione del “Don Giovanni“ di Mozart, della prima esecuzione del “Concerto per violino“ di Beethoven e all’apparire dei drammi musicali di Wagner. E si è contrapposta sempre l’aumentata complicazione tecnica alla diminuita invenzione melodica. Sembra quasi che la maestria tecnica venga avvertita soltanto nell’insolito, mentre la melodia viene sentita come tale solo in forme più usate, che già ci sono familiari. In realtà però, la melodia di Mozart era più ricca di quella dei suoi predecessori, quella di Beethoven più vasta e varia di quella di Mozart, e quella di Wagner più rigogliosa (seppure non così nobile e originale). Beethoven stesso, nel suo terzo periodo - soprattutto nei Quartetti - scioglie i rigidi meccanismi sinfonici in melodia e ”psicologia”. - Wagner diventò di nuovo più materiale, ed è contro questa materialità che cominciano a reagire alcuni compositori viventi. L’immaterialità è la vera essenza della musica, e noi la stiamo cercando; noi erriamo per antri stretti e sotterranei, al cui termine una strana luce lontana, fosforescente, ci fa indovinare lo sbocco in una grotta meravigliosa. Quando finalmente saremo penetrati nella sala a volta del misterioso palazzo naturale, allora potremo imparare a dare le ali al linguaggio della nostra anima; esso risuonerà in una melodica sempre più fiorita e più elevata...

È una di quelle giornate in cui si aspetta passivamente che il sole sia tramontato, per mettere la testa fuori di casa. La quale testa è pesante e pigra. I vestiti si appiccicano indosso, si sta male a sedere, male in piedi e peggio sdraiati. È un grosso equivoco il presumere che io - perchè sono un buon artista (e anche di effetto) - debba - o possa venir messo a contatto del pubblico (preso in blocco)!
Gli artisti hanno a che fare con il pubblico, quanto la religione con la Chiesa. Voglio dire, la religione è qualche cosa di intimo, di personale (come il talento); la Chiesa è un’istituzione, a quel che si dice per la massa della gente comune, in realtà per il bene dei sacerdoti. - Verità di questo genere le racconta (finalmente!) G. H. Wells ai suoi compatrioti nel suo eccellente libro. Mi ha dato tanta gioia dal giorno che l’ho comperato, il 27 febbraio. Ascolta come Wells s’è fatto bello:

“ Questo qualcosa che è in noi più grande di noi stessi, che non tanto esiste, quanto si sforza di esistere, che trema tra essere e non essere, come è meraviglioso! Ha assunto la figura e i tratti di migliaia di divinità diverse, ha cercato una sua forma nella pietra, nell’avorio, nella musica e nelle parole più scelte, ha parlato sempre di più e sempre più chiaramente del mistero dell’amore, di un mistero dell’unità, e dovrebbe intanto - ponendosi al di fuori degli impulsi umani - grufolare nel sangue e nella crudeltà? E’ qualche cosa che va e viene, come la luce di un faro che splende e si spegne, che qualche volta si estingue tanto completamente, che si dubita sia mai esistita...”.

Mentre ti sto scrivendo queste frasi, ricevo un telegramma da Hanson. ”Mi congratulo per il successo a Los Angeles, ha grande importanza per il futuro”. Mio Dio!! -... Forse sono io uno che cerca il suo futuro in California? O forse intende parlare del futuro della California (a cui auguro di cuore ogni possibile prosperità).
E proprio “à propos” leggo ancora in Wells:

“La maggior parte degli uomini di valore non dà, a guardar bene, il meglio di sé, quasi tutti si adattano un poco, e la maggior parte si adatta in modo che fa paura, a fare un lavoro secondario”. (Most are shockingly adapted to some second-best use!).

Non si può esprimere questo concetto meglio di così e non si può tradurre. -
In questi giorni ho avuto l’idea (molto vaga e allo stato di visione) di una “Rapsodia Indiana“ per pianoforte e orchestra. -
Monte-Sole è un piccolo podere a Settignano, dove abitavano i miei amici Walter di Kansas City, e che era in vendita. Me ne hanno fatto venir l’acquolina in bocca, e voglio informarmi meglio della cosa. Trovo che già il solo nome è un piacere. Inoltre Settignano è un posto ottimo per il vino (dietro a Fiesole, mi sembra).
Enfin. Vedi, la mia testa comincia a risvegliarsi. Oggi è stato il primo giorno libero, da tre settimane a questa parte, senza ferrovia e senza concerto. (Ho smesso di studiare da Chicago in poi)... Se solo non facesse tanto caldo! È come una malattia, e io non sono ancora del tutto rimesso dalla settimana infernale tra Chicago e il viaggio fino a qui...
Allego ancora un foglio bianco, per ornamento. È come la biografia del direttore d’orchestra Kreisler “oltre a casuali fogli di scarto”. [1]
E ciò mi ricorda di nuovo “La Sposa sorteggiata “!!! Uff!
Bacio te e voi, mi siete molto vicini...

[1] Per mancanza di carta, Busoni aveva usato per questa lettera il verso bianco dei fogli su cui aveva annotato i pensieri sulla melodia.

 

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Isidor Philipp diceva: «Di buoni pianisti ce ne sono tanti e tutti suonano bene... ma poi, lassù, lassù lassù, c'è Busoni». Interessante confrontare il mito di Busoni pianista con quanto lui stesso finò col chiamare un "equivoco".

 

Jacob Wassermann (scrittore tedesco, 1873-1934) su Busoni:

"Mi sia permesso citare le parole che una attenta osservatrice scrisse dopo aver udito suonare Busoni, non in concerto, ma a casa sua; è impossibile renderne l'impressione in modo più esatto e più significativo di questo: «L'uomo la cui immagine voglio risvegliare in te con questa lettera, si è degnato una sera di fare quel che egli, sviato malvolentieri da se stesso, scuotendo la testa e con impazienza chiama l'equivoco, ossia sedersi al pianoforte per far piacere all'amico. Io stavo rannicchiata presso la finestra, preparata alle cose più sublimi. [...] Ma egli non vuole più essere un mago, egli è il signore del Divino Fanciullo; mai lo sentii più nobile di quando le sue mani demoniache ammaliavano, nobile oltre la magia, mentre la nobiltà tragica fiammeggiava sopra il suo capo candido come un diadema. Così si manifesta ciò che egli con deliberata concisione definisce equivoco [...]»

Il disgusto di cui qui si parla aumentò negli ultimi anni fino a divenire qualcosa di morboso: ogni insistente richiesta che lo volesse incatenare allo strumento suscitava la sua diffidenza e la sua avversione. Respinse le offerte di impresari americani, che gli avrebbero assicurato compensi principeschi ed economicamente lo avrebbero messo al sicuro per molti anni. Ma egli disprezzava il danaro. Mai lo sentii parlare di soldi; per lui non erano degni neanche di un pensiero. Come si esprimeva lui, preferiva vivere in povertà piuttosto che vendersi alla plebe musicale. La causa prima di ciò non stava soltanto nella paura dell'«equivoco», nel disappunto e nella scontentezza per essere considerato e richiesto come qualcosa che egli non era più e che non poteva più essere: il virtuoso, l'attore, il solista, il mero mediatore e rivelatore di musiche altrui; né derivava dal sentimento di una rinuncia a un diritto acquisito; non c'entrava l'ambizione, di cui egli si era già liberato combattendola e superandola in sé.
Si trattava d'altro, di qualcosa di più alto: dell'unità, della totalità dell'arte e della totalità dell'uomo. Così come nella sua opera non si era sottomesso al culto del particolare, ritmo o armonia o linea melodica, aspirando invece a ciò che egli chiamava «la sfera», anche come uomo non voleva obbligarsi e scindersi in nessuna regione dello spirito o dell'attività privata: non si poteva essere un pianista o un compositore o uno scrittore o un insegnante o un direttore d'orchestra, ma si aveva il dovere di completarsi nell'arte come uomo in tutte queste direzioni.
Il fatto che ciò non fosse filosofia o dottrina, ma esperienza ogni giorno rinnovata, e che perciò essa diventasse un'esperienza anche per coloro che lo circondavano ansiosi di apprendere e di assimilare, spiega il miracolo del suo influsso [...]"

Jacob Wassermann, Ferruccio Busoni, in memoriam

(trad. Sergio Sablich. In appendice a: Sergio Sablich, Busoni, EDT/Musica)


 

Un sito ricchissimo sulla figura e l'opera di Ferruccio Benvenuto Busoni:

http://www.rodoni.ch/busoni/index.html

 

Il Centro Studi Musicali "Ferruccio Busoni" di Empoli:

http://www.centrobusoni.org/default.asp

 

Un esempio dell'arte pianistica busoniana (1922: Liszt's Hungarian Rhapsody no.13 with SONIC DEPTH TECHNOLOGY. mp3, 6'23", 3.0MB):

http://www.arbiterrecords.com/mp3/busoniliszt.mp3

 

 

 

 

 

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